L’artista si è ispirata al rumore della risonanza magnetica per creare dei brani
È una mattina del maggio 2015. La mammografia evidenzia un problema e occorre fare un esame più approfondito. Alessandra si avvia alla risonanza magnetica e, durante l’esame, viene assalita da un fremito: «Perché non trasformare i rumori freddi e metallici della macchina diagnostica in calde note musicali?». Il referto è inequivocabile: tumore al seno. «Dentro di me già lo sapevo ma, finché non hai un responso definitivo, speri sempre che non sia così. Ricordo – racconta Alessandra Laganà (49 anni) avvocato e musicista – quella mattina drammatica. Il mio bravo medico, Carlo De Felice, grazie alla sua diagnosi precoce mi aveva già detto che dalla mammografia era emerso un problema: il guaio è che di problema non ce n’era uno solo! Quando sono entrata nel tubo della risonanza ho vissuto una scissione: il mio corpo si preparava ad andare in battaglia, la mia mente doveva emigrare altrove e ho deciso di trasformare quei rumori cacofonici in melodia. I suoni della risonanza sembrano musica elettronica e, appena uscita dal tubo, ho comunicato al mio compagno, che attendeva in anticamera, la mia intenzione». Tommaso Marletta, il suo compagno, è ingegnere del suono: «Lui deve avermi preso per pazza – continua Alessandra – però ha subito aderito ed è nato il primo brano: “Résonance Magnétique”, per trasformare il dolore in un’opera d’arte».
Da questo primo brano nasce un tragitto ricco di straordinari progetti tuttora in corso. «Mi son fatta dare il dischetto della risonanza e ne ho stampato il contenuto: la foto del mio seno. Ho evidenziato il tumore, ho disegnato una freccia che lo indica, ci ho scritto sopra I’m not here, perché io non sono il mio tumore, la mia vita non dovrà ruotare intorno al cancro, devo uscire dal tunnel con le cure e con l’arte. Ho creato un volantino e, ricoverata in ospedale per operarmi, ho detto ai medici: voglio fare di questo volantino un’opera artistica». Poco dopo sono nati due album, cui hanno partecipato una ventina di musicisti: «Dolce veleno», canzoni scritte e cantate da Alessandra; «Suoni lenitivi per adulti», musica sperimentale. È nato il docu-film «Noma»: «Il titolo viene dal greco, significa lacerazione, il mio carcinoma. È il racconto per immagini e testimonianze di persone con problemi analoghi al mio e di specialisti che le curano. Un altro modo di distrarmi dall’ossessione della malattia, trasmettendo la mia esperienza agli altri: bisogna parlare per esorcizzare la paura e uscire dalla solitudine». Come affermava Oriana Fallaci quando nel suo corpo si annidò «l’alieno»: bisogna avere il coraggio di pronunciare la parola «cancro», è come dire di avere l’epatite, la polmonite o una gamba rotta. «Certo! – ribatte Alessandra – questo è lo scopo del film, che nel 2017 ha ricevuto un premio per il suo valore umanitario all’Accolade Global Film Competition di Los Angeles!». È nata un’associazione, Noma World, che promuove scambi socio-culturali per il benessere psicofisico attraverso la pratica delle arti. Il nuovo progetto è «Soma»: «In greco significa corpo, ma è anche un acronimo: spazio operativo per la musica e l’arte, per coinvolgere pazienti e terapisti con laboratori creativi, contro gli effetti distruttivi della malattia». Insomma, Alessandra ha trasformato il suo problema in una missione. «Mi chiedono spesso: come hai fatto? Ho coltivato una lucida resistenza al male: la forza arriva per forza».